In un'intervista rilasciata ai colleghi de “Il Corriere dello sport” il presidente Vigorito si è soffermato su diversi aspetti legati al Benevento. Ecco quanto affermato in maniera integrale nella lunga chiacchierata:
Presidente Vigorito, dalla mano sul cuore a Pisa ai patemi odierni: come è stato possibile precipitare così giù?
«Ci sono stati errori. Io per primo ne ho fatti tanti. Quello più grande è non essere stato risoluto nel resettare il progetto e renderlo più sostenibile e congruo alle possibilità e all’interesse della città. Dopo quella gara all’Arena Garibaldi si era chiuso un ciclo. Eravamo partiti per fare un grosso rinnovamento. Ma non siamo riusciti a vendere calciatori che pesavano sull’organico e sul bilancio per liberare spazi e risorse. E abbiamo fatto acquisti che non hanno sempre funzionato. Come i veterani».
Insomma, il mix non è riuscito.
«Purtroppo, no. E ciò ha generato l’attuale situazione. Aggravata dagli infortuni. Dieci/undici al mese non sono tollerabili. E abbiamo dovuto resettare in corsa lo staff sanitario. Avrei voluto cambiare tutto dopo aver perso la A in modo rocambolesco. Ma non ci sono riuscito. E’ la colpa che mi attribuisco. Altre non riesco a trovarne».
I contrasti con una parte dei tifosi l’hanno sorpresa?
«Guardi, io ho provato a dialogare col popolo giallorosso dal primo giorno e mi auguro di poterlo ancora fare. Ma se su 8 mila abbonati, 4 mila non vengono allo stadio, faccio fatica a comprenderne le ragioni. So che il calcio è della gente. E senza la gente manca una componente fondamentale. Ma il saldo negativo lo pagano i presidenti e le norme attuali non aiutano l’equilibrio dei club».
Tante le cessioni eccellenti.
«Molti hanno abbandonato la nave. Ma chi è andato via non ha mai spiegato perché. Lapadula, Barba, Forte averli persi ci ha penalizzati. Qualcosa s’era rotto. Ma non con me».
Tre allenatori in una stagione la prova di una sconfitta?
«Cannavaro aveva portato freschezza. Ma l’effetto non è durato. Certo, l’ho visto lavorare con passione. Ma dopo la fiammata iniziale ci eravamo spenti anche con lui. E’ andato via il direttore sportivo, un particolare non irrilevante. Non c’era più condivisione nella soluzione dei problemi emersi. Tanti. I professori di calcio sono il pronto soccorso che a parole funziona sempre. Ma sono i fatti la realtà. Serviva altro».
Stellone è un combattente.
«Mi è sembrato l’uomo giusto per generare risorse umane e ambiente. Ci sta provando con tenacia. E non molla. Come me. Ha un’etica non comune e coi giovani sta facendo bene. Ma non ci si salva da soli».
Le espulsioni di Bari, il rigore non dato e uno contro, raccontano che c’è dell’altro.
«Io credo che la classe arbitrale stia provando a ringiovanire i ranghi e questo processo indispensabile necessita di tempo. Tutti subiscono errori, non voglio alimentare, però, la logica delle congiure. Il problema è nell’utilizzo del Var che, a Bari, chiama un rigore per noi e l’arbitro va a verificare un’immagine precedente che non poteva essere segnalata. E’ questa confusione che non va».
Otto rossi e 202 minuti in inferiorità numerica, solo l’Ascoli più colpito del Benevento. E 6 rigori contro. Tutto giusto?
«Il Benevento commette meno falli degli avversari e patisce più sanzioni. Lo certificano statistiche ufficiali. A Bari più interventi irregolari di noi e un solo giallo per la squadra di Mignani. Ci sono riscontri illogici. A Pisa abbiamo giocato senza Tello espulso col Como senza aver fatto fallo. Il Benevento è una società sana e ha tifosi esemplari. Rispettiamo le regole e non ci sentiamo perseguitati. Ma qualcosa non torna».
Inevitabile cedere Lapadula. Ma Forte perché è andato via?
«Se uno vuole cambiare aria, cosa puoi fare? Lapadula ha chiesto di essere ceduto quando era capocannoniere. Ho parlato con lui e i procuratori e non sono riuscito a capire il perché del divorzio. Impossibile trattenerlo, benché l’avessi pagato 4 milioni di euro. Altro mistero doloroso. La cosa triste è che vanno via senza salutare».
E’ vero che avevate l’accordo per riprendere Coda?
«Al nostro ds aveva dato la disponibilità al trasferimento. Ma era un’operazione da 8 milioni di euro. Mi sono chiesto se ne valesse la pena. Poi il presidente del Genoa, Zangrillo, non ha voluto darci più il calciatore perché con l’arrivo di Gilardino,Coda è tornato in campo e ha fatto gol. Ma io, come lei sa, non amo i cavalli di ritorno. Ho già Nero e Manua nel mio “buon retiro” di Santa Croce del Sannio dove ho portato la squadra per ricompattarci. Quello che chiedo ai tifosi».
Comportamenti e regole che non esistono o sfavorevoli alle società. Quali cambierebbe?
«Siamo passati dalla schiavitù dei calciatori a quella dei presidenti, prigionieri di calciatori e procuratori. Non esistono contratti a seconda delle categorie con automatismi e parametri prestabiliti per salvaguardare il conto economico dei club. Se retrocedi in B scende di categoria solo la società. I calciatori continuano a guadagnare stipendi da A, benché i club non incassino più le stesse risorse».
Non basta il paracadute?
«Ovvio che no. Altrimenti perché tanti fallimenti? Bari e Palermo sono ripartiti dalla D per debiti insostenibili».
Cosa pensa del disallineamento tra le norme civilistiche che riguardano i debiti ristrutturati dei club e le Noif che ha portato al deferimento della Reggina?
«E’ un caso che mette in grave pericolo l’autonomia dello sport. Non è possibile continuare con vecchie regole che impattano sul nostro ordinamento. Bisognerebbe ripartire da zero e riscrivere norme che contemperino giustizia sportiva e ordinaria. Ma andrebbe rivista anche la ripartizione delle risorse derivanti dalla vendita dei diritti tv. Sono problemi noti, ma gli interessi sono tanti e non conciliabili. Non c’è riuscito nessuno».
Il ministro dello sport Andrea Abodi è l’uomo giusto per risolverli questi problemi?
«Un professionista che conosce il sistema da dentro e sa che la soluzione non può essere più rinviata. O muore tutto. Indipendenza non significa anarchia. Bisogna che - come si dice a Napoli - si trovi penna, carta e calamaio e si scrivano regole univoche. Come dice il presidente Balata».
Il presidente Gravina ha aperto a revisioni. Ma chi ha rispettato i termini è il vero danneggiato?
«Chi si comporta in modo onesto fa il suo dovere. Viene avvantaggiato chi viola le regole. La Reggina sta usufruendo di una maggiore disponibilità finanziaria che ha inciso sul piano tecnico. Anche se poi per vincere non bastano i soldi. Le regole vanno riscritte. E debbono essere inequivocabili».
Con la Spal bisogna solo vincere. O addio alla Serie B?
«Io non voglio neanche pensare all’eventualità di retrocedere. Non corrisponde al vero - come sostiene qualcuno - che io voglia riportare il Benevento dove l’ho preso per lasciarlo. La C ha una sua dignità. Ma dopo essere stato a San Siro, all’Olimpico e allo Stadium la prospettiva non mi entusiasma affatto».
Ma il futuro della Strega sarà con o senza Vigorito?
«Sono concentrato sul presente. Se dovessi restare nel calcio, l’esperienza inciderà. In 17 anni ho comprato 180 calciatori e ho speso una fortuna. Ma ho potuto realizzare i miei sogni. Il futuro dovrà essere sostenibile. Dobbiamo essere una sana società di provincia. Con grandi ambizioni e i piedi saldamente piantati nella realtà. Strutture adeguate e giovani da valorizzare. Ne abbiamo tanti. Carfora non è il solo. E il sistema dovrà premiare chi valorizza i talenti».
Alla gente che è stata al suo fianco e ai contestatori che immaginano un Benevento senza Vigorito cosa sente di dover dire?
«I club italiani sono sempre più in mano a miliardari stranieri e a fondi sovrani esteri. Noi dobbiamo ricostruire la possibilità di fare calcio nel Sannio, una terra che io amo profondamente. È la prima stagione che abbiamo fallito. Siamo tutti colpevoli, ma la responsabilità è soprattutto mia. Credo che il Benevento non morirà. Ancora in Serie B oppure altrove continuerà a esserci. Ma dovrà farlo in modo diverso e proporzionato all’interesse di città e territorio. Intanto, crediamo nella salvezza e stringiamoci forte alla Strega. Tutti insieme. Il futuro è adesso».
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